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Il baguazhang, o palmo degli otto trigrammi, è uno stile di gongfu cinese, ideato nella seconda metà dell' '800 da Dong Haichuan, capo delle guardie del principe Su nella città proibita, il quale sintetizzò e organizzò il suo ricco bagaglio marziale secondo i princìpi dello yijing - il "libro dei mutamenti" - un antico testo di divinazione e cosmologia.
Lo stile prevede l'utilizzo di tutte le tecniche caratteristiche degli stili cinesi - mano, piede, leva, proiezione, armi - ma predilige l'utilizzo delle tecniche a mano aperta abbinate a movimenti circolari e a spostamenti rapidi e cambi di direzione improvvisi. È uno stile "interno" che pone molta enfasi sul neigong, o "lavoro interno", allenamento volto a sviluppare la forza attraverso un'assetto posturale peculiare, caratteristico e funzionale alle sue tecniche e alla sua tattica, e che consente al praticante di esprimere potenza, flessibilità e adattabilità, in accordo appunto con i "mutamenti".
Questa forza "interna" pur essendo finalizzata al combattimento, dona al praticante salute e benessere, un vigore che ha le sue radici nello sviluppo delle energie sottili che secondo la visione medica cinese sottendono ai meccanismi fisiologici del nostro essere: jing, qi, shen - vitalità, soffio e spirito.
L'allenamento del baguazhang richiede passione, costanza e pazienza; i suoi princìpi sono molto semplici, derivano dall'osservazione della Natura e si accordano alle sue leggi, secondo la visione del taoismo; essi si disvelano da sè, ma unicamente attraverso la pratica assidua, come recita il Laozi infatti: "Il Dao che può essere raccontato, non è il vero Dao."

La pratica del baguazhang così intesa e tramandata, attraverso lo studio delle tecniche del combattimento, l'allenamento della forza "interna" e l'approfondimento dei suoi princìpi teorici rispecchia pienamente l'essenza del gongfu tradizionale cinese: marzialità, benessere, cultura.

lunedì 30 gennaio 2012

Teoria vs pratica


"La pratica senza la teoria è cieca, così come è cieca la teoria senza la pratica." - Protagora

"La teoria senza la pratica è vuota, la pratica senza la teoria è cieca." - E. Kant


Basta addentrarsi di poco in qualsiasi aspetto della cultura cinese e subito ci si imbatte in concetti quali yin-yang, cinque fasi, qi (o soffio), etc. etc. Prendiamo ad esempio la medicina cinese, tutto il suo impianto teorico è fondato su concetti apparentemente molto astratti, eppure questi pur non essendo tangibili e indagabili con strumenti fisici risultano poi dimostrati dai risultati che la pratica medica tradizionale riesce ad ottenere.
Le arti marziali cinesi sono basate su concetti sovrapponibili a quelli della medicina tradizionale cinese: yin-yang, cinque fasi, sei armonie, vitalità, soffio e spirito e quant'altro.
Prendiamo uno degli elementi fondativi della pratica più caratteristici: il qi o soffio. Non è il sangue, nè l'impulso elettrico che scorre nel sistema nervoso. Ma allora come si è potuto scoprire qualcosa che non è evidenziabile da una dissezione o da un esperimento fisico, o misurabile attraverso uno strumento? Può derivare il tutto da mera speculazione filosofica o teorica?

Sicuramente la scoperta "storica" di determinate realtà è da attribuire a qualche personalità o comunità eccezionale dell'antichità, così come la sua divulgazione, ma qual'è il percorso che ha reso possibile tale scoperta?
Forse il sapere teorico che sottintende alla cultura cinese è stato rivelato a qualche profeta da entità sovrannaturali in un passato mitologico?

Personalmente ritengo che la teoria sia stata rivelata all'uomo da nient'altro che la pratica: vite spese in meditazione e allenamenti hanno svelato la natura dei meccanismi che sono alla base della nostra fisiologia più profonda e sottile, in tutta la sua semplicità.


"il Dao che può essere detto, non è il vero Dao." - Laozi

Ora, se questo è stato il processo "storico" che ha determinato la conoscenza di questi concetti, il percorso individuale nella conoscenza appunto dovrebbe ricalcare gli stessi passi nella stessa direzione.
La dicotomia corpo-mente propria della cultura occidentale ci espone purtroppo ad un rischio molto pericoloso: quello di confondere il "sapere" con il "saper fare" - nella migliore delle ipotesi - se non con il "saper essere", ovvero l'illusione di conoscere senza aver avuto esperienza diretta e totale.
La differenza tra "sapere" e "saper fare" è la stessa che c'è tra il vedere un posto in cartolina - magari descritto minuziosamente tanto da poterlo immaginare fin nei dettagli - e il trovarsi di persona in quel posto, respirandone gli odori, e avendone esperienza con tutti i sensi e con lo spirito; usando la stessa immagine il "saper essere" equivarrebbe al trasferirsi a vivere in quel posto, diventando parte di esso. Teoria e pratica........sono la stessa cosa!

La cultura cinese a mio avviso non si può acquisire attraverso libri e guardando cartoline. Dalla mia esperienza personale attraverso il gongfu essa è tutt'altro che "speculativa", e invece squisitamente "operativa".

In quest'ottica il Maestro è solo una guida che indica la direzione giusta, lasciando percorrere la strada al suo studente, lasciandolo inciampare e cadere, che interviene solo per rimetterlo sul sentiero giusto o per rialzarlo. Dall'altro un allievo saggio è quello che sì, pone delle domande, ma cerca poi il riscontro alle risposte nella pratica paziente e costante.

L'illusione di conoscere e capire solo attraverso lo studio teorico, che deve essere comunque sostegno della pratica, è pura pornografia, un atto masturbatorio nel quale può trovare rifugio chi non ha la forza o la pazienza di mettere tutto sè stesso nella pratica.


(Nell'immagine il "huang ting nei jing" - paesaggio interno del cortile giallo, rappresentazione del corpo umano secondo la medicina cinese)